Certe persone è meglio perderle che trovarle, non si dice così?
Ma io ero felice di averla trovata.
Il primo giorno di liceo non conoscevo nessuno e mi guardavo intorno cercando di farmi un’idea delle persone con cui avrei condiviso l’anno.
Una ragazza mi colpì. Se ne stava in disparte un po’ sorniona e un po’ smarrita perché, capii da una battuta della prof che ci stava facendo visitare la scuola, era ripetente.
Mi attaccai a quel pezzo di empatia, a quella battuta sgradevole, evitabile. Avrei fatto amicizia con lei che era sola, come me.
Diventammo amiche, non ricordo in che modo.
All’Artistico non si ha un’aula assegnata: si gira tra laboratori di pittura, scultura, geometrico e le classi di materie teoriche; di fatto si finisce per non avere compagn* di banco fissi, in un’anarchia divertente e sconclusionata.
Ci sedevamo vicine, andavamo insieme a fumare e al bar, per il panino al tonno e la Coca; solo, all’uscita, lei correva dalle amiche che aveva lasciato in seconda e con loro andava in stazione. Ero invitata di rado, ma che importava: per sette ore era tutta per me.
Alice aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi. Sapeva come vestire, come ridere, come fumare, come truccarsi. Sapeva cosa dire ai ragazzi. Era cool, era davvero cool.
Io no. Io ero una sfigata con le scarpe sbagliate e il Barbour taroccato. Mi chiedevo continuamente che ci facesse con me, oltre a copiare i compiti di italiano.
Passavamo interi pomeriggi al telefono (quello fisso, era la metà degli anni ‘90) a parlare non so più di cosa, forse del suo ragazzo brufoloso chiamato amorevolmente “tittirilli”.
Eppure capitava di non stare insieme in ogni momento e quando era lontana a qualche banco di distanza, o appartata con altr* compagn* in giardino a fumare, notavo sottili risate e parlottii soffocati nella mia direzione.
Certo che lo notavo, ma facevo finta di niente. Lo notiamo sempre, e sempre facciamo finta di niente.
Non volevo sapere. Lei era la mia amica cool e io ero felice di stare con lei, felice di parlare di cazzate, felice di farmi prendere in giro perché leggevo tanto, felice di imparare da lei come comportarmi in mezzo alla gente.
Nei mesi primaverili scoppiò la mia piccola bomba nucleare.
Andava avanti da un po’. Le risate e i parlottii aumentarono di frequenza e di volume, insieme alla partecipazione: da due o tre persone, ormai coinvolgevano metà classe.
Facevo finta di niente, Alice continuava a sedersi di fianco a me.
Ma faceva certe domande: «Non ti piace nessuno?» chiedeva, e poi «ma ti piacciono i ragazzi, vero?», e alla fine «non sarai mica lesbica?»
Lesbica? Cosa significava esattamente? Avevo un’idea, un’immagine, ma era vaga, sfumata.
Avevo baciato qualche ragazzo e con piacere.
Lesbica no, certo che no.
Odiavo Tittirilli, ma che c’entra, era un povero stronzo, stupido come pochi.
Che c’entra.
Un giorno in bagno mi aspettavano tutt*.
Fumavo la mia sigaretta, circondata. Quella sigaretta che avevo imparato da qualche settimana ad aspirare, me l’aveva insegnato lei.
«Vale dai ammettilo, ti piacciono le donne!»
«Puoi dirlo, dai!»
«Sei lesbica, dillo!»
«Guarda che lo sappiamo tutti.»
«Non sei una donna normale, si vede! Dai, ammettilo.»
«Dai, cazzo. Sei lesbica, che figata le lesbiche!»
Sulle piastrelle bianche sul muro del bagno c’era scritto I love Placebo in nero all’altezza degli occhi, ma io non sapevo cosa significasse Placebo, chi o cosa fosse.
Alice mi guardava, sorniona e per nulla smarrita.
Fermò tutto Davide, che era stato zitto fino a quel momento.
«Basta dai, cazzo. Una cosa così si deve chiedere. Sei lesbica?»
«No» risposi.
«A posto, ha detto no. Finitela» disse Davide.
La finirono. Era entrata Sara a chiamarci, il prof di geometrico era tornato dalla Presidenza e aveva trovato solo metà classe in aula.
Le settimane successive le ricordo terrorizzanti: lesbica, mi dicevo, sei lesbica. Alice stava per essere bocciata una seconda volta. Terrorizzanti, non l’avrei più vista.
Una mattina facemmo sboccia per andare in spiaggia. Era nuvoloso e pensavo con orrore che non l’avrei più vista, non ricordo altro.
Se ci fosse una parte di sollievo non lo so, scriverlo sarebbe improprio, una memoria modellata sul buonsenso. Può anche darsi, l’amore è complicato.
La bocciarono.
Feci coming out tre anni dopo, alla fine della quarta. Alice non la rividi mai più.