Imparare è un processo, di solito. Non ricordo quando ho imparato a scrivere il mio nome, quando ho imparato a contare. A volte, però, imparare è un attimo, è capire improvvisamente qualcosa di sconvolgente e da quel momento in poi il mondo non sarà mai più come prima.
Ricordo bene il giorno in cui ho scoperto che in Italia non c’è una regina, la volta in cui ho capito che bajour non era una parola esistente (e questa cosa mi sconvolge ancora), e la sera in cui ho scoperto che prima o poi sarei morta. Ma questa è un’altra storia.
Questa, invece, è la storia del pomeriggio in cui ho capito che il genere delle persone che mi piacevano aveva importanza, per qualcuno che non ero io.
Strano, perché della seconda elementare dovrei ricordarmi ogni secondo del pomeriggio in cui la Melevisione venne interrotta per la caduta delle torri gemelle, ma niente, non ricordo bene, tutto offuscato.
È nitida invece nella mia testa la luce che entrava dalla finestra del salotto della casa in cui abitavo, è nitida la trama della tovaglia del tavolo su cui stavo per iniziare a fare i compiti, è nitida la scritta a penna sul mio diario “Viviana ti amo”. Modestamente, era un bellissimo corsivo da seconda elementare, ne andavo particolarmente fiera. Scribacchiavo spesso sul diario durante le lezioni, mi segnavo tutte le cose più importanti, le parole nuove, le frasi strane, i compleanni. Quella mattina avevo ritenuto importante affidare al diario i miei sentimenti.
A giudicare dallo sguardo perplesso, mio padre non condivideva la mia opinione. Non disse nulla, non ce n’era bisogno, avevo già avuto il sospetto che ci fosse qualcosa di strano nel mio gesto, ma soltanto in quel momento capii quale fosse il problema. Viviana non era un bambino, c’era qualcosa che non funzionava.
Eppure ricordavo di aver provato le stesse emozioni all’asilo pensando a Denny, affascinante bimbo ribelle con i pantaloncini corti. Non ne avevamo mai veramente parlato lui e io, ma per i miei genitori eravamo fidanzati e questa cosa suscitava una generale tenerezza e approvazione negli adulti.
Con Viviana però non poteva essere la stessa cosa. Mi chiesi se fossi davvero innamorata o se semplicemente le volessi bene, che, a quanto pare, era il sentimento che avrei potuto provare per un’altra bambina.
Nell’attesa di risolvere il dilemma (spoiler: la domanda mi perseguitò per anni ancora), decisi che per il momento la cosa migliore da fare era adottare un semplice ed efficace sistema per non incorrere più nello sguardo perplesso di mio padre.
Fase 1 – capire se mi piaceva una persona.
Fase 2 – fare attenzione al genere di questa persona.
Fase 3 – Se questa persona casualmente era una ragazza, evitare di dirlo e soprattutto evitare di scriverlo sul diario.
Funzionò per anni. Quel pomeriggio, la nuova scoperta mi colse alla sprovvista. Ricordo chiaro il senso di vergogna di quando dissi a mio padre «Non l’ho scritto io!»
Imparare, a volte, è un attimo. Capire che di certe rivelazioni avremmo potuto fare a meno ed eliminarle dalla nostra vita, beh, per questo ci vuole un po’ più di tempo.