- Racconto -

Nel corridoio di quel liceo

Non avevo mai partecipato con tanta frequenza e con tanto entusiasmo ai banchetti familiari. E dire che le cene, ultimamente, si ripetevano spesso, e non era neppure domenica, non era neppure una di quelle ricorrenze che rendeva irrinunciabile quell’appuntamento.

Ci devi andare per forza? Continuavano a ripetermi i compagni e le compagne.
Sì, nessuno della mia famiglia è in grado di parlare la lingua inglese.
In realtà la lingua inglese la conoscevo a malapena. Del resto erano solo pochi mesi che a scuola era diventata una delle materie di studio. Eppure riuscivo a comunicare, eppure apparivo sicuro, le mani non sudavano, la voce non tremava, e soprattutto non mi mancavano le parole.
Insomma, quella fu indubbiamente la mia prima infatuazione.
Quando i turisti americani andarono via, dovetti affrontare lo specchio. Lo specchio mi disse che avevo nutrito intense fantasie nei confronti di un altro ragazzo. Lo specchio mi disse, soprattutto, che in paese avevano avuto tutti ragione.
La parte più difficile fu convivere con questa consapevolezza e tornare tra i banchi di scuola insieme ai miei compagni, quei compagni che mai come allora avevo sentito così diversi da me.
C’è qualcosa che non va? Sei così diverso! Continuavano a ripetermi.
Io davvero non sapevo cosa dire, davvero sembravo stordito da un tornado che improvvisamente mi aveva attraversato l’anima.
Credo di aver capito qual è il tuo problema! Mi disse Francesca, un giorno. Credo di poterti aiutare, aggiunse. Dovresti contattare l’Arcigay!
Non avevo idea di quello che cercasse di dirmi, ma poi mi parlò di un’associazione che in città era composta da un’intera comunità, e dove, probabilmente, avrei smesso di sentirmi così diverso e così fuori luogo.
Accolsi il suggerimento, corsi a consultare l’elenco del telefono e verificai che effettivamente esisteva una voce sotto il nome “Arcigay”. Ero felicissimo, elettrizzato solo all’idea. Ma doveva restare una faccenda segreta, dovevo agire con la massima prudenza. Mi precipitai a cercare una cabina telefonica: la più lontana da casa, la più isolata, in quella strada dove nessuno ha motivo di andarci, lì dove non c’è neppure una bottega alimentare.
Il ragazzo che mi rispose fu ben contento di aiutarmi e con molta cordialità mi indicò i contatti utili per poter far parte di quella comunità. Mi parlava da Bologna, mi spiegò di essere nella sede nazionale e che mi avrebbe messo in contatto con l’associazione più vicina a me. Incredibile! Proprio quella città in cui poi un giorno avrei scelto di vivere, proprio lì dove sarei poi diventato un uomo adulto, proprio lì dove avrei ritrovato me stesso.
Io, Francesca non l’ho più vista dopo la scuola, non l’ho più ritrovata, ma è iniziato tutto nel corridoio di quel liceo. Francesca ai tempi del liceo era un’attivista e mi raccontò per la prima volta dell’Arcigay.