Se questo fosse un film mi presenterei mostrandovi la mia cameretta da adolescente: vedreste le pareti ricoperte di poster di Che Guevara e Kurt Cobain, e capireste al volo che tipo io fossi.
Ero radicale più o meno su qualsiasi cosa. Ero radicale sulla musica che mi piaceva (tutto il resto faceva schifo), sui miei ideali politici (le altre idee erano feccia), sulle mie convinzioni religiose (atea convinta che Odifreddi levati!) e su, beh… più o meno tutto il resto.
A questo folto gruppo di convinzioni scolpite nella pietra (che per fortuna a 19 anni si sono dissolte definitivamente) apparteneva anche un profondo disprezzo per la mia professoressa di Religione (che mia proprio non era, essendo esonerata, ma comunque…).
Dicevo, se fosse un film comincerei a mostrarvi alcuni flashback nei quali questa sedicente prof ha tenuto a impersonare la mia nemesi: lei che decide di incentrare un’intera lezione sull’omosessualità, descrivendola come una malattia sviluppata nelle carceri; lei che porta DA CASA un crocifisso da appendere nella nostra classe (li avevo tolti io da tutta la scuola durante un’occupazione, ça va sans dire); o ancora lei che, alla morte del Papa, riesce a convincere tutto l’istituto a bloccare le lezioni per vedere il funerale.
Arrivat* alla fine di questi stomachevoli ricordi, vi mostrerei finalmente la scena centrale, quella che dà il titolo al film. Sono passati più di dieci anni ormai, eppure questa scena potrei riprodurla con la stessa fedeltà con cui Haneke ha rifatto il suo Funny Games dieci anni dopo.
Vedreste quindi me e le altre esonerate ai tavoli davanti alla biblioteca che ripassiamo per la verifica di Letteratura del giorno dopo; siamo un po’ preoccupate perché questa è una verifica importante, ma in quel momento siamo comunque di buon umore perché la prof di Italiano, la più temuta e amata allo stesso tempo, è appena stata con noi una buona mezz’ora ad aiutarci/sgridarci/farci ridere come solo lei sapeva fare.
Ci vedreste poi sobbalzare al rumore della porta di una classe del corridoio a fianco a noi che si apre violentemente sbattendo contro al muro. Neanche il tempo di notare che si tratta proprio della nostra, che vediamo arrivare verso di noi due nostre compagne: una corre diretta verso il bagno, l’altra si ferma da noi giusto il tempo di dirci «è Michela, è sconvolta per quello che le ha detto la prof su suo padre.»
Sempre se fosse un film a questo punto farei uno zoom veloce sul mio sguardo che da interrogativo si illumina ricordandosi che il padre di Michela è gay e che questa cosa è diventata di dominio pubblico agli scorsi incontri tra genitori e insegnanti; farei poi tornare velocemente la telecamera alla scena principale con noi che corriamo tutte insieme dalla nostra amica.
La vedreste piangere, ma non di tristezza: di rabbia. La sentireste ripetere le frasi oscene che questa prof ha rivolto a lei, una ragazza di sedici anni, parlando del padre, definendolo un “pervertito”, un “malato” e un “pedofilo”. E a questo punto, credo, sentireste anche voi la rabbia.
O comunque, se fosse un film, cercherei di farvi percepire la mia, mostrandovi al rallentatore la scena di io che esco come una furia dal bagno e corro verso la classe; vi farei percepire tutti gli insulti trattenuti a stento inquadrando la mia mascella che si contrae e la mia gola deglutire.
E poi inquadrerei lei, oh sì, e qui non potreste più trattenere il disgusto, perché ve la mostrerei proprio così come l’ho trovata, senza esagerazioni: serena, sorridente, con le mani congiunte e il corpo rilassato. Non esattamente l’aspetto che vi sareste aspettat* da un’insegnante che ha appena fatto scoppiare in lacrime una studentessa, vero?
Se fosse un film a questo punto mi vedreste gridarle in faccia un discorso emotivo, ma articolato, qualcosa di sarcastico e pungente che la possa far crollare. Ma devo essere onesta, quella parte è veramente offuscata nella mia mente, quindi per onestà intellettuale, in un film, ve la mostrerei da lontano, con la mia voce quasi impercettibile; vedreste solo il suo volto, sorridente e imperturbabile, e il braccio della prof di Italiano che mi porta via prima che io finisca l’elenco di offese intrappolate da mesi.
Se questo fosse un film vi mostrerei poi la me stessa di qualche anno più tardi, alla rimpatriata di classe, che scopre proprio dalla prof di Italiano che il mostro di Religione è stata sospesa per una denuncia da parte di una ragazzina dichiaratamente lesbica della sua classe. Ve lo mostrerei perché è sempre brutto lasciare il proprio pubblico senza un lieto fine.
Ma siccome questo non è un film non posso che farvi notare che dall’episodio centrale a questa scena finale sono passati dieci anni. Un po’ troppi, non trovate?